Nel mare dei big data della comunicazione – in una sovrabbondanza di contenuti tra web, social e press – cerchiamo un’isola dove approdare. È così che ha preso forma questa ricerca – sempre intorno al concetto di comunità – che oggi si interroga intorno alle “comunità di cura”. E come spesso capita quando si è in viaggio, lo stupore di ciò che si trova supera di gran lunga la curiosità di quando si era partiti. Dal Brasile alla Valchiusella, dalla cultura alla culla, il mondo intero si manifesta con intelligenza, con bellezza, con crudezza.

Con “comunità di cura” si intende – in estrema sintesi – la capacità di prendersi cura degli altri e di darsi reciprocamente una mano. Emergono, con questa espressione, pochi contenuti – in termini quantitativi e a confronto con le “comunità” trattate nei precedenti articoli – ma piuttosto d’impatto. Riflessioni che aprono delle strade dalle quali poi difficilmente si riesce a tornare indietro.

Dall’America Latina, il reportage più crudo. Una riflessione collettiva in quattro parti dal titolo “Masterclass della fine del mondo”. Riguarda gli ultimi anni, in Brasile. Sono gli anni di Bolsonaro e quelli della pandemia. Le parole “inferno”, “collasso”, “fine del mondo” si susseguono. Ogni tre righe una pugnalata al cuore. Fortunatamente il susseguirsi di espressioni come “cura”, “comunità” e “aiuto reciproco” offre quella boccata di ossigeno per continuare a leggere di una catastrofe sociale arginata proprio grazie alle reti, quelle dei familiari, degli amici e dei volontari.

In questo mare di notizie in tempesta, ci lancia un salvagente la Gran Bretagna, dove il collettivo inglese The Care Collective ha teorizzato e pubblicato il “Manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza” (in Italia edito da Alegre) che cerca di dare una risposta alla domanda: come possiamo dare vita a sistemi in cui l’interdipendenza degli uni dagli altri sia finalmente riconosciuta, in forme solidali e paritarie? Il manifesto individua quattro cardini fondamentali per dare vita a comunità di cura: il mutuo soccorso, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse e la democrazia di prossimità.Una «cura promiscua», che non discrimina nessuno ed è fuori dalle logiche di mercato. L’obiettivo è arrivare a un vero e proprio «stato di cura» che non solo crea infrastrutture di welfare «dalla culla alla tomba» ma genera una nuova idea di democrazia orientata ai bisogni collettivi. Dimostrando che la cura è il concetto e la pratica più radicale che abbiamo oggi a disposizione”.

Anche l’Italia, in questo viaggio tra web e social intorno alle “comunità di cura”, si distingue – in queste ultime settimane – con contenuti illuminanti da un lato e rincuoranti dall’altro, in particolare ne segnaliamo tre.

Il primo ci porta in Valchiusella, in provincia di Torino, dove sarà attivata la seconda comunità rurale dementia friendly in Italia. Le comunità dementia friendly sono comunità urbane “amichevoli” con i propri concittadini affetti da demenza. Situazioni molto diffuse a livello internazionale oggi contano anche numerose esperienze in Italia. Il punto è affrontare la demenza, da un lato, attraverso percorsi di diagnosi precoce e, dall’altro, grazie alla comunità che diventa un vero e proprio strumento di cura, accoglienza e inclusione.

La “Sentinella del Canavese” racconta così l’esperienza: “C’è una valle, la Valchiusella, che viene utilizzata come una comunità educante, un luogo dove si incontrano, confrontano e approfondiscono temi studenti e ricercatori di vari profili disciplinari, e c’è una comunità di cura che si attiva e ravviva grazie alla rete sociale e al ruolo attivo della popolazione nel prendere in carico il proprio diritto- dovere al benessere”.

Immagine 1 – Valchiusella, Cima Bossola, foto tratta da https://visitcanavese.it

Il secondo vede come protagoniste due realtà che si occupano della cura e dell’educazione di bambini e ragazzi, tra le più importanti ed attive in Italia. Una è “Save the children” che offre una definizione incantevole di “comunità di cura”: “la comunità di cura è il luogo ideale in cui la «culla sociale» prende forma. La comunità di cura può essere considerata come uno spazio fisico, di relazione, di servizi e di informazioni, dove i genitori con i loro bambini possono muoversi nel modo più semplice e agevole”. L’altra è la Fondazione “Con i bambini” – fondo nazionale per il contrasto alla povertà educativa – che dedica specifici progetti alla “cura dei legami, quelli che spezzano la solitudine, che aprono le porte, che riaccendono le speranze, i talenti ed i sogni”.

Infine, il nostro viaggio ci porta a Roma in occasione di “E.P.ART Festival – Innescare musei per curare territori”, un progetto promosso da “Ecomuseo Casilino” che nasce per dare vita a processi di musealizzazione diffusa nella periferia est di Roma attraverso la realizzazione di opere di street art. In pratica, insieme ai membri dell’Ecomuseo Casilino, le comunità – coinvolte attraverso call pubbliche e formate da associazioni, imprese e singoli cittadini – costituiscono dei “comitati di cura” per scegliere insieme le location, i temi e gli artisti che eseguono le opere.

Qui sotto l’immagine del primo murale realizzato a Centocelle, per approfondire a questo link si può navigare e “toccare con mano” la bellezza, la comunità, la cura.

Immagine 2 – nella foto il primo murale realizzato a Centocelle

Questo articolo è uscito il 5 agosto 2022 sul blog di Maps Group.