Questo articolo è stato pubblicato su Il Secolo XIX del 13 agosto 2019 in occasione del primo anniversario del crollo di Ponte Morandi.
La quantità di comunicazione sul Ponte Morandi in un anno ha superato il mezzo milione di clip (545.000 tra articoli, trasmissioni radio e TV, web e social) e continua a fare notizia anche se l’emotività, l’incredulità e la commozione dei primi tre giorni (150.000 articoli e messaggi) si sono via via ridotte e addolcite (ma non sopite) e uno spazio sempre più ampio è stato dato a diatribe di ogni tipo e al palese sarcasmo sulla ricostruzione (inaffidabilità, litigiosità, mafia). Su Genova, dall’alluvione mediatica, emergeva tuttavia un altro messaggio, un segnale debole che nel tempo è cresciuto: dignità e concretezza.
L’ 8 febbraio, data di inizio della demolizione, il 22% delle clip provenienti dall’estero (il doppio della media), testimoniano un interesse genuino verso la sfida italiana che passa da Genova e diffondono poche ma eloquenti citazioni: “Il nostro paese è in grado di rinascere dalle ceneri” (Giuseppe Bono Presidente di Fincantieri) o “A Genova l’immobilismo non è nei nostri geni” (Sindaco Marco Bucci). Concetti più che parole che verranno ripresi da diverse fonti in più paesi sostenuti da notizie e filmati che da febbraio si fanno sempre più concreti e spettacolari come l’esplosione dei piloni, l’ordinata evacuazione e la regolazione del traffico.
Nel caos dell’immagine italiana di questo periodo, nel racconto della sua perenne rissosità interna, degli scandali, dell’ansia sulla sua tenuta economica, mentre imperversa la polemica sulle grandi opere, Genova è come tenuta fuori, è “altro”. Procede per la sua strada, con poche polemiche interne e qualche distinguo.
L’onda della comunicazione offre segnali inequivocabili di un mutamento di sensibilità. I contenuti che hanno prevalso per mesi negli articoli, nei servizi radio-televisivi e nei social come “emergenza”, “traffico”, “soccorso” si acquietano e si parla di più di prospettive su cui convergere, di progetti, di gronda, di terzo valico, in altri termini “futuro” (dal 10% al 17% del volume comunicativo). Vien fuori la “resilienza dei genovesi” che ha a che fare con la “capacità di adattarsi”, di “non perdere la speranza”, di “alzare la testa”, di “innovare”, di “ricostruire” (dal 7 al 27%). “Dovevamo cambiare casa, eravamo decisi a vendere. Poi è crollato il ponte e con lui il mercato, rendendo le case invendibili. Allora abbiamo deciso di stare qui, sistemarla, renderla più bella, in attesa che dalla finestra si riveda un nuovo ponte. La vita va avanti” (10 gennaio, uno dei post più virali in rete).
Tutto questo senza mai perdere in decine di migliaia di tweet, di post e di autorevoli reportage, il senso della tragedia, la memoria dei morti, il peso nel cuore degli sfollati: “Oggi #14settembre il saluto delle sirene del porto di Genova ai deceduti durante il crollo….non riesco a trattenere le lacrime”.
Fra gli amministratori più coinvolti dalla gestione dell’emergenza e dalla ricostruzione è progressivamente cresciuta la visibilità di Marco Bucci (dal 7% dei primi giorni al 43% dopo pochi mesi all’attuale 36%) e di Giovanni Toti (dal 14% al 27% di oggi). Se all’inizio i social hanno pesato per il 70%, oggi si è passati al 34% a testimonianza di commenti divenuti più ponderati e strutturati. Al Secolo XIX° va il primato delle testate giornalistiche nazionali e del proprio sito sul Morandi. I leader politici di governo e opposizione si sono rincorsi con alterno successo in cima alle classifiche dei social ma nessuno si è mai avvicinato al “viral score” di Francesca Baraghini del 14 agosto 2018 “ Sono diventata matta per trovare mia madre…”.
Alla scadenza di un anno dalla disgrazia e con l’inizio dei lavori di costruzione, l’onda della comunicazione sta di nuovo crescendo. Fra tanto rumore si percepiscono due narrazioni: quella del Ponte di Genova da una parte e quella delle grandi infrastrutture italiane dall’altra. Citando il DNA dell’antica Repubblica un imprenditore genovese ha commentato causticamente la situazione: “Da una parte l’economia basata sulla concretezza, dall’altra quella basata sulle musse”.
(dati Monitoring Emotion, Words, Maps)