Alla maggior parte delle persone non sarebbe mai passato per la mente che un ponte come il Morandi potesse venir giù. Così quando il 14 agosto 2018 è successo si è trattato della catastrofe perfetta, del “cigno nero”, del “corpo fragile che tocca il limite” per dirla con Nassim Taleb, filosofo e matematico studioso dei rischi estremi.

La reazione del mondo allora fu stupefacente. 80.000 gli articoli, i servizi radio-TV e i messaggi social in Italia e in tutto il mondo, 40.000 il giorno dopo, 30.000 il terzo, migliaia a seguire. In due anni arriveranno in totale a 700.000 le clip su Genova e il suo Ponte (in media 950 al giorno), una contabilità da grandi catastrofi quando colpiscono emotivamente le persone.

Prevalevano stupore e rabbia, cordoglio per le vittime e senso dell’emergenza. Sotto sotto, in particolare all’estero, si coglieva anche un sentimento ostile causato da analisi impietose (gli investimenti italiani in manutenzione) e da stereotipi offensivi (la corruzione, l’inaffidabilità, la mafia). Solidarietà e compassione non mancavano ma sulla ricostruzione, per riportare alla normalità la città, il territorio e il sistema dei trasporti del nord ovest, lo scetticismo era palpabile: il debito pubblico, la concessione, la litigiosità, la burocrazia. “16 anni è il tempo medio per realizzare un’opera in Italia!”. Genova non poteva farcela.

I più attenti ai comportamenti della città si accorgevano però che non tutto era di segno negativo: l’emergenza veniva gestita e vissuta senza panico, si trovavano soldi e soluzioni logistiche, si davano le prime risposte al dramma degli sfollati e al disagio sociale, e aumentava la mobilitazione, esattamente come molte volte era accaduto nella storia della città, dal Barbarossa alla Resistenza. Si percepiva il suo genius loci, l’adattamento, la flessibilità, la fiducia in sè, in una parola la “resilienza”, sensazione che si poteva cogliere qui e là nel 22/25 % dei messaggi. Nel caos dell’immagine italiana del periodo Genova era “altro”, concreta, determinata. Il soffio di vento che ha consentito di far fare il giro di boa all’immagine della città lo ha causato Renzo Piano. La notizia di donare il suo progetto di Ponte si è diffusa in tutto il mondo e ha costretto molta stampa internazionale ad osservare con maggiore attenzione Genova, le sue eccellenze e quello che stava facendo. Lonely Planet, la casa editrice che diffonde guide turistiche in tutto il mondo, arriva al punto: “Genova progetta un Rinascimento mentre ricostruisce il suo ponte”.

Prende piede a partire dal 12 marzo 2019 in occasione dello “sblocco cantieri”, la frase “modello Genova” che oltre all’efficacia del commissariamento ricorda lo spirito e la forza di chi ha vinto l’impresa (in molti messaggi è chiaro che “modello o metodo Genova” significava anche una salutare distanza dalla burocrazia romana!).

Questo articolo è stato pubblicato su Il Secolo XIX di sabato 1 agosto 2020