Quando i computer cominciarono a diffondersi , una ventina di anni fa, gli insegnanti cercavano di spiegarne il funzionamento partendo dal linguaggio binario, conosciuto anche come “linguaggio macchina”. Chi ha più di cinquanta sa di cosa sto parlando: due soli simboli, detti “bit”, uno e zero, combinati tra loro, fornivano tutte le istruzioni necessarie per attivare il computer. Per dire 1 si usava 1, 1+0 (10) equivaleva a 2, 1+1 (11) significava 3, il 4 diventava 1+0+0 (100) e così via anche per le lettere (A per esempio era 1010). Contrariamente a quello che molti di noi semplici mortali allora pensarono, si trattava degli ultimi sussulti di un mondo ancora semplice. Impulsi elettrici “positivi” o “negativi” per far vivere le macchine e, per estensione, il bianco o il nero, il giusto o sbagliato, il bene o male, il vecchio o giovane … insomma o zero o uno.
Oggi le cose sono radicalmente cambiate, non comprendiamo quasi nulla di quello che adoperiamo e vediamo. Impariamo ad usare oggetti e servizi nuovi senza capire, senza possedere nemmeno la conoscenza di base della tecnologia e del know how che ci sta dietro. Sono prodotti, servizi, processi produttivi che vengono definiti “black box” (scatole nere). I black box non si capiscono, si accettano, e tutto dipende dalla fiducia che riponiamo in chi li spiega e comunica. In altre parole emozioni e fede subentrano alla conoscenza.
Concludendo possiamo dire che, quando non capiamo, non preoccupiamoci: agli umani è precluso. Noi tutti ormai compriamo per fede.