Recentemente ho sfogliato un vecchio testo di management scritto dai coniugi Varvelli, di gran moda alla fine degli anni ’90 (“Vincere sbagliando”, Sole 24 Ore). Ne avevo sottolineato un pezzo in cui si parlava dell’entusiasmo e si raccomandava di non cadere nella trappola dei significati correnti che tendono a differenziare , per esempio, “entusiasmo” (forza, positività) da “entusiasta” (ingenuo, patetico). Leggo gli auspici dei famosi consulenti:

Essere sereni e ottimisti senza ingenuità, coscienti dei rischi che tale atteggiamento può comportare. Affrontare l’ironia dei pessimisti, dei distruttivi, dei depressi, dei masochisti con altrettanta ironia, trattenendosi dall’evidenziare la commiserazione per loro. L’entusiasta gioisce dei risultati positivi ottenuti, non si giustifica per quelli mancati e non si pone obiettivi troppo ambiziosi e irrealizzabili”.

L’entusiasmo mobilita le persone dimostrando così che è molto di più di una dote di buon carattere. E’ anche una “tecnica direzionale” e in quanto tale genera un vantaggio competitivo. L’entusiasta (la parola deriva dal greco ardire, ardore, coraggio) riconosce la vita dentro di sé e decide razionalmente di viverla anziché subirla.

Ho chiesto ad un amico industriale mentre eravamo alla macchinetta del caffè: “Cosa abbiamo affrontato con entusiasmo, qui da noi, dopo le belle letture di fine secolo?”. Mi ha risposto anche lui con una citazione vintage: “Karl Popper (filosofo della scienza scomparso negli anni ’90) diceva che oggi l’età umana non corrisponde più all’età anagrafica ma all’età dello spirito. Vecchio è colui che affronta i problemi nuovi con pensieri vecchi. Giovane è colui che affronta i problemi nuovi con pensieri nuovi. A Genova mi sembra, continuò, non siamo né vecchi né giovani. E ora il caffè, concluse, come ti piace? dolce o amaro?”. Ricordo che mi prese un dubbio: intendeva riferirsi al caffè o era una visione?