In Europa e nel mondo il ruolo strategico di cultura e creatività è generalmente condiviso. Non così in Italia che relega le sue policy sull’argomento in ambiti ristretti e non prioritari. Tuttavia la produzione culturale è nel nostro DNA e prescinde di fatto dalle politiche nazionali. Il cuore della fabbrica italiana di cultura batte forte nei singoli territori e, secondo una ricerca di Unioncamere, vale 68 miliardi di Euro pari al 4,9 % del valore della nostra economia (meccanica e mezzi di trasporto pesano il 3,5%!). Senza contare le ricadute sul turismo, la pubblica amministrazione dedicata e il mondo del volontariato con risorse umane e materiali non misurabili. Gli occupati diretti sono stimati in 1,5 milioni.

La cultura rappresenta dunque un enorme giacimento di ricchezza, per noi come il petrolio. Ma mentre i giacimenti di petrolio vengono sistematicamente ricercati e sfruttati, noi procediamo ancora nel deserto delle idee scavando buchi qui e là. Insomma è ancora debole una politica industriale che abbia al centro la cultura (industrie creative, attività culturali, sfruttamento del patrimonio storico artistico, performing art e arti visive). In questo la Liguria si trova attualmente al 17° posto fra le regioni (3.1%  del PIL rispetto alla media del 4,9%). Genova in particolare si posiziona in 74^ posizione pur essendo, per popolazione e importanza, una delle prime città italiane. Si tratta di un enorme giacimento che ancora non riusciamo a sfruttare.

Tra fare e come fare cultura, cose non facili, aiutano la riflessione i versi autobiografici del poeta Nizar Qabbani:  “Ho fatto il macellaio/ho fatto il poeta/Come macellaio i cani speravano in me/come poeta sono io a sperare nei cani”.