La seguente intervista è stata pubblicata sul blog 6memes del gruppo MAPS Qui l’articolo originale

 

Ciao Sara: grazie intanto per questa chiacchierata su temi particolarmente cari a 6MEMES.

La prima domanda va diritta al punto: questa recente enfasi sulla “condivisione” di cui sentiamo parlare sempre più spesso – e che si rappresenta con la piccola stringa di testo “co” davanti a una serie di altre parole – è il frutto di un moda passeggera o piuttosto l’indizio concreto di una realtà destinata a portare cambiamenti duraturi nella nostra società?

Non si tratta di fenomeni di nicchia, né di “momenti moda” o belle parole con cui riempirsi la bocca: condividere il luogo di lavoro (Co-working), il modo di vivere (Co-living) e gli spazi abitativi (Co-housing) è sempre più una realtà che si diffonde non solo tra i giovani e che ha portata internazionale.

Grazie alla piattaforma di analisi semantica Web Distilled, abbiamo attivato una ricerca appositamente dedicata a questi nuovi stili di vita e di lavoro dove convivere, condividere e cooperare non sono obiettivi a cui mirare ma le fondamenta per creare soluzioni abitative, sociali e lavorative su misura di ciascuno.

Negli ultimi 6 mesi, nelle diverse fonti (social media, testate giornalistiche online e blog, media tradizionali cartacei, radio e TV), in lingua italiana e inglese, sono stati pubblicati sul tema oltre 50.000 contenuti con una media di circa 250 menzioni al giorno. Tra le fonti prevalgono quelle web con il 90% dei contenuti pubblicati su portali online e blog. Tra le tematiche senza dubbio l’argomento più diffuso è quello del Co-working con quasi l’80% dei contenuti selezionati. L’inglese batte l’italiano 85 a 15. Segno che di questi temi si parla e si scrive molto di più all’estero che da noi.

 

In base ai dati raccolti hai trovato qualche conferma del fatto che queste nuove pratiche culturali si riflettono e sviluppano in maniera differente a seconda della realtà sociale in cui vengono messe in atto?

Non c’è dubbio.

In lingua italiana, ad esempio, prevalgono articoli contenuti relativi ai sui cambiamenti sociali e ai nuovi trend: “come cambia il modo di lavorare, abitare e comunicare tra nomadi digitali e cittadini temporanei”. Si sottolineano spesso elementi di “straordinarietà”, come se vivere o lavorare “in condivisione” fosse uno stato transitorio e non una scelta di vita che risponde, di fatto, a due esigenze chiave degli esseri umani: la sopravvivenza (condividere spesso aiuta a spendere meno) e la socialità (stare insieme agli altri non è forse meglio che stare da soli?).

In italiano, non si contano articoli e post dedicati ai Co-working. Sembra che ogni città, quartiere e amministrazione non ne possa fare a meno: a Fontivegge (Umbria) ha inaugurato qualche settimana fa “Binario5” e a Palazzolo (Brescia) sta per aprire (nell’ambito di un più ampio progetto di recupero di spazi del centro storico) “OgliOffice”, giusto per citare due tra gli ultimi casi.

Cominciano anche a girare tesi di laurea e studi scientifici sul tema. Sarà interessante vedere dove si va. La vera sfida non è ristrutturare uno spazio e metterci delle scrivanie, ma intercettare e stimolare la nostra voglia di “essere comunità” e, al tempo stesso, sapere rispondere alle esigenze di mercato.

 

Questo vale per il nostro paese dunque. E per il mondo cosiddetto anglosassone? Quali sono le evidenze che hai raccolto?

Completamente diverso è il panorama anglosassone dove prevalgono decisamente contenuti di taglio business e real estate. E dove – andando in particolare ad analizzare le uscite dedicate ai temi del Co-housing e del Co-living – si scopre un incredibile mondo di possibilità. I complessi abitativi “in condivisione” sono assolutamente comuni, diffusi e richiesti da New York a Seattle, da San Francisco a Los Angeles e in numerose altre aree urbane americane. In Europa si trovano soprattutto in città come Berlino, Londra e Dublino.

“Il co-living è la nuova miniera d’oro con 93 miliardi di mercato potenziale” dichiara “PropTiger” pubblicando la loro ultima ricerca sul mercato immobiliare statunitense, settore che sempre più affronta le nuove costruzioni o il recupero di edifici già esistenti con una logica “sharing”, combinando soluzioni flessibili che alternano spazi comuni e spazi privati con approcci fino a qualche anno fa impensabili.

C’è chi ragiona su chi sono i target principali – solitamente neo-laureati, giovani professionisti, millennials – e chi cerca soluzioni abitative di interesse per i nuovi target emergenti – ad esempio i “re-starter” (persone tra i 30 e i 50 anni che stanno divorziando o che stanno ripartendo con una nuova fase della loro vita)  – oppure i pensionati (abituati ad una vita di relazioni ed interessi che cominciano ad avere specifiche necessità pur essendo ancora completamente autonomi nelle loro esigenze quotidiane).

 

Parlavamo all’inizio della nostra chiacchierata di come questa nuova pratica sociale (perché di questo si tratta, in effetti) è solo l’inizio di una grande trasformazione. Puoi fare degli esempi concreti per i nostri lettori, così da toccare con mano la portata del cambiamento in corso?

Gli esempi sono tanti e in settori diversi.

Le nuove soluzioni abitative, ad esempio, portano con sé anche lo sviluppo di nuovi servizi o di servizi aggiuntivi per attrarre nuova clientela. C1 in California offre – nel pacchetto di abitazione condivisa – Netflix e i servizi di pulizia. Alcune strutture di lusso integrano l’offerta abitativa con centri fitness, cabine abbronzanti, biliardi, barbecue e piscine. Node – uno dei precursori – con un edificio storico a Londra e numerose altre sedi nel mondo, mette a disposizione un “community curator” perché ritiene che i residenti interagiscano meglio con l’incoraggiamento di un “curatore di comunità” che li aiuti a selezionare i coinquilini e ad organizzare eventi collettivi.

Numerose anche le startup che stanno nascendo in questo campo. Tra quelle di maggior successo, ci sono ROOMI che aiuta a trovare il “perfetto coinquilino”, confrontando caratteristiche personali ed esigenze abitative fino ad arrivare alla “giusta” combinazione. Oppure ROOMRS che agevola l’incontro tra domanda e offerta di abitazioni (inclusi utenze, mobili, accessori) con le disponibilità di prezzo e di condivisione degli spazi.

 

Sin qui si tratta di esperienze nate e sviluppate al di fuori del nostro paese. E per quanto riguarda noi italiani? Quale è lo stato dell’arte?

Non mancano comunque anche esperienze tutte italiane: a volte sono primi esperimenti. A Trento ad esempio da qualche mese convivono sette ospiti anziane, due collaboratrici familiari e quattro studentesse in un “trans-generazionale co-housing” dove ciascuno ha una propria stanza con bagno mentre cucina, soggiorno e sala sono in comune. Oppure il “Co-living Casa Netural”, che è, come riporta il sito, ” una casa, a Matera, che aggrega persone da tutto il mondo, in cui ispirarsi, rigenerarsi e concretizzare le proprie idee attorno ai temi dell’innovazione sociale, culturale e creativa.” Qui, infatti, gli ospiti hanno l’opportunità di svolgere attività professionali in remoto e possono decidere di trascorrervi alcuni momenti della loro vita.

In Italia, però, la città che più è in grado di rappresentare e gestire questi nuovi fenomeni di condivisione degli spazi lavorativi e abitativi è senza dubbio Milano. Non solo perché ospita numerose e interessanti esperienze di Co-working e Fablab che la posizionano allo stesso livello delle altre metropoli occidentali. Ma anche perché è l’unica città italiana a mettere in atto una strategia di lungo periodo, unica città italiana a partecipare al bando internazionale “Reinventing Cities” che prevede l’alienazione da parte del Comune di siti inutilizzati o in stato di degrado a favore di progetti di rigenerazione urbana con benefici per la comunità attraverso il Co-living, Co-housing e Co-working.

 

Ti ringraziamo delle buone notizie, allora, in attesa che la cultura della condivisione metta radici più profonde anche da noi. E soprattutto ti facciamo le nostre congratulazioni per la tua recente e meritata nomina a Presidente del gruppo Condiviso. Buon lavoro!