I messaggi che parlano di Pesto Genovese e indirettamente della città capoluogo della Liguria sono mediamente più di 200 al giorno (80% all’estero). Questo successo planetario oggi deve fare i conti con la crescente concorrenza degli altri “pesti” e con il tentativo di svilire l’identità territoriale e il background culturale dell’originale. La bandiera della croce rossa in campo bianco delle navi genovesi che solcavano il Mediterraneo nel Medio Evo e nel Rinascimento, oggi è sostituita dal marchio del basilico genovese DOP sui barattoli di pesto.

Nell’era dell’ipercomunicazione, i confini del moderno impero genovese arrivano dove si parla con continuità di Pesto e di Basilico Genovese DOP. Non sono le navi, le merci e gli scambi e nemmeno gli insediamenti a definirli, quanto i flussi costanti di informazione e di citazioni: un andirivieni di messaggi positivi che agiscono come le onde e il vento facevano per le navi di un tempo, portatrici di conoscenza, cultura e opportunità.

Il Pesto, nato internazionale per la natura della città, cibo della buona accoglienza per i marinai di tutte le bandiere che sbarcavano a Genova dopo settimane di navigazione e ancora questione di identità per migliaia di migranti nelle Americhe, si è pian piano diffuso in tutto il mondo portando il nome di Genova – in particolare negli ultimi 20 anni – ad un alto livello di notorietà che oggi è misurato in oltre 200 clip in media al giorno (unità di comunicazione che comprendono articoli, servizi radio-TV, news e blog, messaggi social e altra comunicazione online e offline) prevalentemente all’estero: l’80%! (dati Monitoring Emotion-Words Genova)

Genova viene “portata in spalla” (piggyback marketing per gli esperti) anche dal Basilico Genovese DOP di cui il Pesto ha fatto da apripista, che un pochettino – ma sempre più – si aggiunge in autonomia con un centinaio di clip al mese, citato per l’interesse di molti produttori di salse che lo utilizzano, a dimostrazione della propria qualità (10% all’estero).

Come è accaduto tutto questo? E cosa minaccia oggi il nostro immaginifico impero? Solo vent’anni fa, fuori Liguria, il Pesto era un prodotto che potevamo definire quasi di nicchia, appena noto in Italia e all’estero, presente in qualche scaffale ma di bassa qualità e con ingredienti spesso del tutto discutibili (prezzemolo, alghe, anacardi, olii di semi, limone, addirittura mirtilli).

Il Pesto Genovese è diventata la prima salsa fredda al mondo per condire la pasta per tre ragioni: oggettivi cambiamenti nella cultura alimentare, intraprendenza dei genovesi che caparbiamente ne difendono l’identità (che tuttavia è a rischio), e infine per la rivoluzione dei mezzi e dei modi della comunicazione.

Il dato oggettivo è che in tutto il mondo si sta perdendo l’abitudine di cucinare e si ricorre sempre di più a prodotti preconfezionati, pratici da gestire da un lato e sicuri gustosi e garantiti dall’altro. Il consumatore è sempre più difeso da norme istituti e associazioni e la certificazione di qualità è diventata il punto di incontro tra chi produce e chi compra, come nel caso del Basilico Genovese DOP. “L’idea forte è stata la privativa del nome “genovese” basata sul fatto che abbiamo dimostrato che il nostro basilico è così perché è ligure. E lo si può produrre solo qui. Le aziende che nel 2007, anno di fondazione del Consorzio, usavano il Basilico DOP, erano al massimo una quindicina, oggi sono decuplicate e con marchi molto importanti a livello nazionale e internazionale e se guardiamo alle etichette attraverso le quali il pesto viene venduto i numeri salgono ancora di molto” (Gianni Bottino Direttore del Consorzio Basilico Genovese DOP). Un esempio che vale per tutti è il Pesto Genovese “Kirkland” prodotto negli USA, importato da Taiwan e redistribuito in tutto il Sud Est Asiatico e recante in bella vista il marchio genovesissimo del Consorzio.

Sempre nel 2007 prende corpo l’idea di un gruppo di professionisti privati, ma fortemente sostenuta dalla Camera di Commercio, Regione e Comune, di organizzare il Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio utilizzando il Basilico Genovese DOP e creando per prima cosa uno spartiacque tra pesti genovesi “veri” e “finti”. Non si è trattato di amore del folklore ma del recupero di una cultura che andava perdendosi, della rivendicazione dell’identità del Pesto, di una strategia di marketing territoriale che ha funzionato per Genova come un piccolo ma efficace “grilletto”. Sono nate in pochi anni imprese dal niente e capitani coraggiosi, sfruttando catene logistiche e nuove tecnologie commerciali, oggi portano il loro pesto in decine di paesi. L’altra faccia della medaglia è che, almeno per ora, Maone non se ne vedono (le storiche associazioni di mercanti per compiere imprese ai confini del mare) e consorzi o associazioni economiche non si riescono a fare, con il risultato che la competitività del territorio ne risente e per parafrasare la Regina in Alice nel paese delle meraviglie “si corre il doppio per restare dove si è”.

Il terzo fattore di crescita dell’impero genovese virtuale è stato l’avvento dell’ipercomunicazione digitale che ha cambiato radicalmente il rapporto con il consumatore che ha assunto un ruolo proattivo ed è diventato il vero protagonista della comunicazione, in un contesto mondiale basato su connettività e interattività. Così il Pesto Genovese deve ai social la sua diffusione per il 48% con in testa Tik Tok Twitter  e Instagram (ed è un valore al ribasso per via delle restrizioni dovute alle norme sulla privacy). Il resto è la parte web (39%) e la comunicazione tradizionale (13%). Nel bene e nel male siamo nelle mani dell’emozione che emerge fortemente nel 35% dei messaggi.

Negli ultimi 6 mesi, con 37.000 clip all’attivo, si scopre che il Pesto Genovese parla inglese nel 54,9%, italiano nel 21,1%, spagnolo nel 7%, francese nel 6,6% e tedesco nel 4,2%. Questo grande successo internazionale nella comunicazione come nei fatti, non poteva che attrarre la concorrenza. La stessa parola “pesto” è diventata un vocabolo vincente nella comunicazione commerciale di molte aziende produttrici di salse non propriamente liguri. Così è cresciuta e si sta affermando la produzione dei non-pesti sul mercato nazionale e internazionale che da inesistenti qualche anno fa, negli ultimi sei mesi hanno fatto parlare di sé con più di 25.000 clip (contro le 37.000 del pesto al basilico genovese) anche se con un altissimo sentiment negativo (27% contro il 6% del Pesto Genovese secondo l’algoritmo che guida questo genere di analisi) ma – fattore che ci deve far pensare – attestandosi fortemente soprattutto in Europa dove il Pesto Genovese, almeno parlando di comunicazione, non sfonda nonostante tutti gli sforzi.

Un fatto storico, avvenuto a cavallo tra il 2023 e il 2024, gioca a favore. Si tratta del sorpasso, per quantità e per engagement, tra l’insieme dei contenuti pubblicati online e offline riguardanti tutti i “pesti”, prevalentemente freddi (51,4% dell’intera comunicazione), e quelli riguardanti il sugo e le salse al pomodoro prevalentemente caldi (48,6%). È in corso un capovolgimento nelle abitudini alimentari che continuerà in maniera anarchica, con buona pace dell’anonimo autore di un tweet diventato virale (“Belin, fammi vedere la menta e il pane nel pesto e vi denunzio per crimini contro l’umanità”).

(*) Gran parte di questa ricerca è stata pubblicata dal Secolo XIX il 21 aprile con il titolo “Ecco come il pesto genovese è diventato una star del web”