Genova, il ponte Morandi e il cigno nero.
L’immagine del Cigno Nero, la catastrofe perfetta, evocata dal celebre libro di Nassim Taleb, calza perfettamente per raccontare la vicenda del Ponte di Genova. Pochi mesi prima della tragedia un sondaggio condotto da Words, agenzia genovese di studi e ricerche sulla comunicazione, metteva in luce che la parola “futuro” associata alla città stava circolando più del solito su giornali, blog e social raggiungendo la media di una trentina di clip al giorno. Approfondendo, venivano scoperte speranze e convinzioni con una insolita vena di ottimismo: il futuro sarebbe stato positivo grazie a infrastrutture, porto e ricerca (32%) seguite da turismo e cultura: “Genova come Barcellona?” (26%).
Con il crollo del Ponte i segnali di rinascita sono stati brutalmente cancellati. Nei 150.000 messaggi, articoli, news e trasmissioni radio-TV dei primi tre giorni e delle altre migliaia che sono seguiti, prevalevano il cordoglio, la rabbia e l’emergenza. Oltre al cordoglio per le vittime, sui social e non solo, in particolare all’estero, traspariva incredulità e si arrivava a sconsigliare i viaggi in Italia, a volte con commenti che rasentavano il disprezzo (la corruzione, l’incapacità, l’inaffidabilità, la mafia), altre volte con l’aiuto di analisi circostanziate “Secondo i dati OCSE la spesa totale in investimenti e manutenzione per le infrastrutture italiane è diminuita del 58% tra il 2008 e il 2015”. Forse il Cigno Nero non era proprio così nero, così imprevedibile. Nel comune sentire, che traspariva dalla comunicazione dai primi giorni della tragedia, questa era l’immagine dell’Italia, e Genova era una città italiana. Un KO come si usa dire, mascherato dall’universale compianto, dalla dichiarata solidarietà e dalla sopportazione per l’enormità dei disagi su mobilità e trasporti. E poi come si pensava di uscirne? Venivano citati l’atteggiamento politico aggressivo nei confronti dell’Europa, il debito “fuori controllo”, le norme burocratiche asfissianti (“16 anni il tempo medio per realizzare un’opera in Italia”).
Tutti i motivi per cui Genova non ce l’avrebbe fatta venivano esaltati e generavano spesso delle punte di comunicazione come l’esclusione di Atlantia, la rimozione delle macerie, la litigiosità della politica, le lungaggini sul decreto. L’ironia sui social si sprecava: “Vieni avanti, decretino, Genova aspetta”, “Pare di capire che il ponte di Genova verrà ricostruito ad Ischia”.
In questa situazione difficile che si è protratta per qualche mese si faceva lentamente strada un segnale debole ma importante: “il fare”. Trovare i soldi, non perdere tempo, costruire le strade alternative, risolvere i problemi per come si ponevano e senza piangersi addosso, insomma stava emergendo – e la comunicazione ne era testimone – una visione imprenditoriale e non burocratica del problema, la città schierata e concreta anche nella fiducia di farcela, e un comportamento politico e amministrativo locale adeguato alla situazione. Il tutto riassumibile in un tweet del 10 ottobre: “Dai che il treno passa tranquillamente sotto il ponte. Questa è Genova gente!”.
Chi non la conosceva e la osservava e ne scriveva cominciava insomma a percepire una concretezza e una energia inattese. Genova stava recuperando orgoglio e resilienza e, come è accaduto tante volte nella sua storia, questo si notava e suscitava rispetto, dal comportamento pragmatico dei suoi amministratori e dei suoi imprenditori all’atteggiamento delle persone comuni “Dovevamo cambiare casa, eravamo decisi a vendere. Poi è crollato il ponte e, con lui, il mercato, rendendo le case invendibili. Allora abbiamo deciso di stare qui, sistemarla, renderla più bella, in attesa che dalla finestra si riveda un nuovo ponte. La vita va avanti” (post del gennaio 2019)
Un altro puntello all’immagine di Genova è venuto da Renzo Piano, con il dono del progetto per il nuovo ponte. La notizia è diventata virale in tutto il mondo e ha costretto molti giornalisti e le persone più attente a studiare con maggiore attenzione la città per capire cosa stesse accadendo. Così ad esempio si arriverà a parlare di “Orgoglio genovese, volontà di ricostruire, spirito indomito che va oltre gli orizzonti”(Times) o “La città vuol credere che la catastrofe del Ponte Morandi non la metterà a terra ma le permetterà di realizzare le sue ambizioni. La forza di volontà e la sua “superbia” sono intatte” (Les Echos). Nel febbraio 2019, in coincidenza con l’avvio della demolizione, Lonely Planet, la casa editrice che diffonde guide turistiche in tutto il mondo, riassumerà così il nuovo spirito: “Genova progetta un rinascimento mentre ricostruisce il suo ponte”.
Quattro mesi più tardi il 28 giugno 2019 le due ultime pile vengono fatte saltare e la notizia, i messaggi, le fotografie, i filmati, supereranno in un giorno le 5500 clip (il 52% sui social). L’evento può essere definito simbolico – linea di demarcazione tra passato e futuro – per il ponte, per Genova e addirittura per l’Italia. Diventa usuale parlare di “metodo Genova” per la velocità dei tempi nelle decisioni, la progettazione e il coordinamento di tante imprese diverse. Si pensa addirittura che il Ponte potrà essere inaugurato in aprile e qualcuno scriverà che la motivazione sta nel fatto che la burocrazia romana sia stata estromessa, che si sono seguite le regole europee e non quelle italiane e che, banalmente, i politici liguri (in particolare il Sindaco e Commissario Bucci e il Governatore Toti) “ne capiscono di project management”, vale a dire di lavoro per obiettivi, perché provengono da storie aziendali. Non solo la gestione politica e amministrativa ma anche la capacità di squadra e le abilità tecniche e professionali delle tre imprese leader della ricostruzione, Salini Fincantieri e Italferr, hanno sfatato l’aperto scetticismo con cui molti osservatori guardavano alla ricostruzione del ponte che, fatto non secondario, nemmeno il corona virus è riuscito a rallentare. “Da Genova grande lezione”, “Primo passo verso il futuro”, “La città è stata coesa” sono fra i molti titoli che circolano. Il tweet di un professore pugliese che aveva seguito un servizio sul Ponte e l’intervista a Renzo Piano su RAI 1, sintetizza così capacità e emozioni: “2,40 min di Rinascimento. Poesia e tecnica. Competenza e speranza (italiana, non italica)”.
Questa veloce analisi della comunicazione riguardante Genova e il suo ponte, basata su circa 700.000 articoli, messaggi e news (950 in media al giorno dal 14 agosto 18 ad oggi), non è necessariamente una storia a lieto fine. Due anni fa non avevamo il Ponte, oggi quasi non abbiamo il resto dei collegamenti. La storia ricomincia, ma in compenso, per dirla con Nassim Taleb, Genova è decisamente più “antifragile”: il cigno nero lo cacciamo via.
*Words effettua il monitoraggio dell’immagine di Genova in Italia e nel mondo dal 14 agosto 2018 in collaborazione con il gruppo MAPS utilizzando tecnologia web distilled e know how Monitoring Emotion-Words
Questo articolo è stato pubblicato su Genova Impresa di Luglio – Agosto 2020