Luca Ricolfi in “L’enigma della crescita”, edito da Mondadori, affronta il tema delle condizioni che consentono la crescita economica di un paese, sostanzialmente spostando l’attenzione dalla tecnicità degli economisti, e dalle formule magiche degli stregoni, ad una visione più ampia della società.

E’ un lavoro estremamente meticoloso, analizza il perché – negli ultimi 50 anni – le economie dei paesi avanzati crescono a ritmi sempre minori, al contrario degli altri. In altre parole, perché, almeno a guardare i tassi di sviluppo, più una nazione cresce più paradossalmente tende a impoverirsi? Certo, noi semplifichiamo, è colpa della “concorrenza” dei paesi poveri che hanno minori costi. Ma allora perché all’interno delle economie avanzate, che hanno simili strumenti e risorse, questo decadimento non avviene in maniera omogenea e alcuni paesi continuano ad avere buoni tassi di crescita rispetto ad altri, come l’Italia ad esempio?

Fermo restando che il decadimento è inevitabile, come fa intendere la citazione di David Warsh usata nel titolo e inserita dall’autore a inizio libro, la comprensione di questo fenomeno ci interessa da vicino, perlomeno ci incuriosisce. Per Ricolfi, l’equazione dello sviluppo deve tener conto di 5 forze e controforze che fanno la differenza e in gran parte richiedono di agire sul sociale: 1) il capitale umano, 2) la capacità di attrarre capitali, 3) le regole e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, 4) il sistema di tassazione e 5) il livello di benessere. Quest’ultimo – è dimostrato – nell’equazione ha un segno negativo: più stiamo bene più la crescita si ferma, e il calvario ricomincia a partire dalle fasce deboli della società.

Dunque, visto e considerato che non possiamo augurarci di stare male, che cosa dobbiamo fare? A pensarci la risposta non è poi così difficile.