Il rating è una procedura di partecipazione alla politica del territorio che combatte l’autoreferenzialità e la paralisi decisionale della politica peggiore.

Sotto elezioni, in forma maggiore o minore, con più o con meno onestà intellettuale, siamo abituati a promesse vuote, a bilanci privi di numeri, ad argomentazioni senza sbocco. I programmi in particolare sono, quasi sempre, del tutto privi della “catena di senso” (legame tra valori e obiettivi, risorse, tempi, controllo e risultati). In tutto questo diventa gioco-forza affidarsi solo all’ideologia o alla conoscenza amichevole del candidato. Sperando in bene.

C’è un modo diverso. Si trova nel DNA della democrazia anglosassone e si chiama lobbistica, termine che in Italia ha una interpretazione tutta negativa perché ci ricorda intrallazzi, cricche, faccendieri, furbetti e corruttori. In effetti la lobbistica rappresenta la possibilità di costruire un dialogo continuo tra chi detiene il potere decisionale e le parti della società che correttamente vogliono tutelare i propri interessi. Si tratta di una eccellenza della democrazia perché presuppone che il confronto tra lobby diverse faccia emergere le soluzioni migliori in un ottimale equilibrio, esattamente come accade con i partiti sul piano più vasto delle idee e del bene sociale.

Dove sta il problema da noi? Nei meccanismi attraverso i quali si svolge il dialogo tra sistema politico e interessi di lobby: disorganizzati, informali, contradditori, poco trasparenti, determinati dalle emergenze, possibilmente da evitare.

La soluzione sta in un sistema di “rating della politica e dell’amministrazione pubblica” su cui ci sono stati alcuni tentativi per ora non riusciti effettuati a Genova dalle principali organizzazioni di interesse economico e sociale come Confindustria e Confartigianato nei confronti delle elezioni regionali. Il rating è un meccanismo che raccoglie dagli associati di un determinato settore economico o culturale istanze precise e misurabili che vengono proposte ai candidati. Se accettate sono sottoscritte dalle due parti, e gli stessi candidati si sottopongono ad un semplice periodico monitoraggio, sia che in legislatura abbiano la responsabilità di governo sia che si trovino all’opposizione (il rating è indipendente dalle scelte ideologiche e di schieramento dei partiti e impegna individualmente le persone).

Il rating politico e amministrativo in sintesi parte dall’ascolto degli imprenditori che, tramite le proprie associazioni, elaborano un documento programmatico con punti molto chiari, che i candidati valutano e sottoscrivono. Dovrebbe continuare durante la legislatura durante la quale i progressi vengono annualmente e  pubblicamente misurati. Si conclude alla fine del mandato elettorale con un giudizio chiaro, trasparente e dimostrabile. Per questo da noi purtroppo non ha avuto ancora molto fortuna. Ma è una aspirazione e un indirizzo.

Con il sistema di rating non si aspettano nuove elezioni per rimuovere eventualmente la fiducia ad un candidato ma si agisce in itinere. Con il rating si passa dall’autoreferenzialità della politica ad una cultura di gestione della cosa pubblica ispirata da trasparenza e senso della direzione. Anche per gli imprenditori può diventare un sistema di riappropriazione della politica senza dover cambiare mestiere.